Intorno alla metà del diciannovesimo secolo, un visionario trapiantato a Parigi, Ben Jehudah, immaginò di riportare in vita l'ebraico,
lingua che non veniva più parlata da oltre duemilacinquecento anni:
Traduzione di Luisa Cortese
un'impresa, come è raccontato in questo libro, cui Jehudah dedicò l'esistenza e che si intrecciò con la storia del nascente stato di
Israele. Al di là della sua straordinarietà, la rinascita dell'ebraico è l'epitome del profondo legame che una lingua intrattiene con
la cultura di cui è espressione. Quando parliamo di lingue parliamo infatti di culture, di modi di organizzare il mondo, di valori e di idee.
Che le lingue nel tempo si trasformino o scompaiano è noto. Meno noto è che questo fenomeno abbia oggi assunto dimensioni così vaste da
far prevedere l'estinzione di metà delle lingue esistenti nell'arco di un centinaio d'anni. Arriveremo a una lingua unica?
È auspicabile questa ipotesi? Oppure l'omologazione culturale che ciò sottintende è tutt'altro che tranquillizzante? È possibile fare q
ualcosa per arrestare questa tendenza?
Questo libro, scritto da uno dei più noti linguisti francesi, è un grande affresco della ricchezza racchiusa nella diversità linguistica e
una sua difesa appassionata.
Claude Hagège, nato a Tunisi, insegna linguistica al College de Franco dal 1988. In italiano sono stati tradotti :
L'uomo di parole (Torino 1989) e Storie e destini d'Europa (Firenze 1995).
C. H.